Piani Cave demenziali della Regione Lombardia. Di Nicola Bonelli
Piani Cave demenziali della Regione Lombardia. Di Nicola Bonelli
Inserito da: Lorella Binaghi
13 Gennaio 2009
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Girano notizie interregionali fra Basilicata e Lombardia gemellatesi per
ricerche su vie fluviali. Un pezzo interessante che riguarda distretti soggetti a
piene alluvionali in Lombardia nell'archivio fontamara.org di Nicola Bonelli, noto
imprenditore e scriba di Matera, segue.
http://www.fontamara.org/
LB
Piani Cave demenziali della Regione Lombardia
Sulla spinta pressante del fabbisogno eccezionale di inerti, le Regioni
Padane stanno programmando l’apertura di altre Cave fuori alveo, in
un territorio già ridotto peggio di una gruviera...; fabbisogno che
potrebbe invece essere soddisfatto con il materiale presente in eccesso
negli alvei fluviali...; la cui pulizia e regimazione, pur essendo
un'impellente esigenza, ai fini della messa in sicurezza del territorio,
rimane lontana da ogni programmazione regionale... Siamo al massimo della
follia istituzionale.
Questa constatazione mi ha indotto a scrivere la seguente:
Lettera aperta a FORMIGONI & C.
(Segue Risposta della Regione Lombardia del 25.02.2005)
Esposto – Denuncia del 10 gennaio 2005.
OGGETTO: i Piani Cave demenziali della Regione Lombardia.
IMPROVVISAZIONI POLITICHE. La superficialità e l’incoerenza
– con cui la Regione Lombardia sta affrontando il problema della
pulizia degli alvei fluviali – sono di per sé un presagio di
sventura per le popolazioni lombarde. Mi riferisco al recente clamoroso
“fare e disfare” del Presidente della Commissione Regionale
Ambiente, Domenico Zambetti; il quale: in data 26.11.04 lanciava il grido
d’allarme: “Ritengo indispensabile che venga pulito il letto
del fiume …”, precisando, “Non sono qui per iniziativa
personale ma per scopi istituzionali, perciò mi impegno di portare
all’attenzione della commissione ambiente i problemi constatati
oggi…”; ma dopo due settimane, faceva approvare un Piano cave
della Provincia di Lodi, annullando, nell’ambito dello stesso piano,
ogni possibilità di asportazione e utilizzo del materiale fluviale. La
frenesia elettorale gli avrà suggerito di poter prendere due piccioni
con una fava: il sostegno dei Cavatori, appagando le loro richieste, ed il
voto degli Alluvionati, offrendo il suo plateale interessamento, …con
gita in barca e presa per i fondelli.
D'altronde, lo stesso piano originale della Provincia, riguardo al
materiale in alveo, puzza di improvvisazione: sia per l’esiguo
quantitativo previsto (un milione di mc è ben poca cosa rispetto ai 10
milioni di mc giacenti in Adda), sia per la previsione temporale di 10 anni
(un’esagerazione per un intervento che potrebbe eseguirsi in pochi
mesi).
Comunque, tra Provincia e Regione, si è capito che non c’è
solo ignoranza ma anche dell’altro: c’è totale
menefreghismo verso l’interesse generale; c’è che il bene
comune e la pubblica incolumità sono perdenti di fronte
all’interesse della lobby dei Cavatori. La quale – pensando
all’immissione, sul mercato, di centinaia di milioni di mc. di
materiale che ne potrebbe derivare – vede la pulizia degli alvei come
un evento nefasto e rovinoso: con crollo di prezzi, rottura di
“cartelli” rischio di chiusura di aziende…; e di
conseguenza si adopera per allontanare questo spauracchio.
E’ da immaginarsi cosa farebbe per lo scopo: finanziare ad esempio
campagne elettorali ed orchestrare ignobili mistificazioni. E quindi ben
vengano le stupidaggini del falso ambientalismo contro l’escavazione
in alveo, come le invettive di Andrea Poggio, presidente di
Legambiente-Lombardia; il quale sul “Cittadino” di Lodi del
30.11.2004 sentenziava: ”L’ignobile dichiarazione di Domenico
Zambetti sulla necessità di cavare in Adda è un esempio
ignobile” (parole insensate ed arroganti, che hanno probabilmente
prodotto il tempestivo dietrofront di Z.). E ben vengano quei giornali che
pubblicano simili bestialità. Tutto fa brodo, se lo scopo è
quello di manipolare la verità, di pilotare le decisioni politiche, di
confondere e infinocchiare l’opinione pubblica.
L’altro “potere forte” – che farebbe carte false (e
le fa) per ostacolare la bonifica e la manutenzione preventiva degli alvei
fluviali – è la lobby Tangenti & Appalti. La quale spera di
poter eseguire il disalveo dei fiumi, non con la gestione ordinaria e la
vendita del materiale, ma con il sistema degli “interventi
straordinari”, la procedura della ”somma urgenza” e della
“trattativa privata”. Solo allora, magari dopo un disastro
alluvionale, il denaro scorre a fiumi e senza controlli, …e può
anche produrre tangenti. Così come è accaduto per i “Lavori
del dopo alluvione di Piemonte-2000”, con diversi tangentisti finiti
in galera (da “la Stampa” del 12.06.2003).
C’è poi chi fa carte false per nascondere la verità sui
quantitativi di materiale realmente esistente negli alvei fluviali, e che
impone il sistema delle autorizzazioni virtuali: “ti autorizzo uno ma
ne puoi prendere 10”. Sistema diffuso in Basilicata ed altrove;
…molto utile per trattare sotto banco il grosso del materiale
estraibile (90%); …per organizzare giri fraudolenti di affari e
tangenti; …come quello scoperto nel Veneto con il “maxi-blitz
della Forestale, …delle escavazioni abusive di inerti dai fiumi Po,
Adige e Brenta” (dal “Gazzettino online” del 1 aprile
2003); …con 22 persone finite in galera, tra cui molti funzionari
pubblici, addetti alle autorizzazioni.
Entrambi i suddetti sistemi “funzionano bene” quando si dispone
di una cava fuori alveo, specie se ubicata vicino al fiume. Il cavatore che
vi aderisce – e che è costretto ad operare in “penombra
legale” – utilizza la propria cava come “cava nominale di
prestito”, cioè come luogo di provenienza “sulla
carta”, del materiale che in realtà proviene dal fiume: o come
“materiale di risulta” dai Lavori appaltati; o come
“surplus” dalle suddescritte autorizzazioni
“virtuali”. In altre parole, su entrambi i suddetti sistemi si
fonda il fiorente Mercato Nero Nazionale degli inerti fluviali.
Con questo, non voglio dire che le tante cave esistenti vicino
all’Adda, funzionino nel modo suddetto. Ma un fatto è certo: il
materiale lapideo estratto da quelle cave è identico – per
natura e provenienza geologica – a quello presente in alveo.
INADEMPIENZE TECNICHE. La pulizia degli alvei fluviali – è bene
ribadirlo – è un’operazione di manutenzione e bonifica
idraulica, finalizzata al ripristino della sezione di deflusso ed al suo
adeguamento alle portate idriche; è indispensabile ai fini della
salvaguardia del territorio; è contemplata sia dalle antiche leggi
sulla Disciplina delle Acque (R.D. 523/1904) sia dalle recenti leggi.
L’articolo 17 della legge 18 maggio 1989 n. 183 prevede, tra le
finalità dei piani di bacino: la normativa e gli interventi rivolti a
regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio
fluviale… in funzione del buon regime delle acque e della tutela
dell’equilibrio geostatico e geomorfologico del territorio…
L’articolo 2 del D.P.R. del 14 aprile 1993 prevede, tra gli
interventi manutentori da effettuarsi nei corsi d’acqua: “la
rimozione di rifiuti solidi e taglio di alberature in alveo… che sono
causa di ostacolo al regolare deflusso delle piene ricorrenti; …il
ripristino della sezione di deflusso, inteso come eliminazione dei
materiali litoidi… pregiudizievoli al regolare deflusso delle
acque”. L’articolo 5 dello stesso D.P.R. mette al primo posto,
tra gli elementi di valutazione per la redazione dei programmi
d’intervento, “la situazione a rischio… a causa
dell’officiosità delle sezioni di deflusso”.
Ancora più puntuale ed attuale è l’articolo 2 della legge
11 dicembre 2000, n. 365 (Attività straordinaria di polizia idraulica
e di controllo sul territorio) – legge emanata dopo le alluvioni di
“Soverato” e “Piemonte 2000” – che tra
l’altro stabilisce: “Entro centoventi giorni dalla data di
entrata in vigore della presente legge, …le regioni, d’intesa
con le province… provvedono ad effettuare…
un’attività straordinaria di sorveglianza e ricognizione lungo i
corsi d’acqua… finalizzata a rilevare le situazioni che possono
determinare maggiore pericolo, incombente e potenziale, per le persone e le
cose, ed a identificare gli interventi… più urgenti…
ponendo particolare attenzione su… i restringimenti delle sezioni di
deflusso… le situazioni d’impedimento al regolare deflusso
delle acque, con particolare riferimento all’accumulo di
inerti… l’efficienza e la funzionalità delle opere
idrauliche esistenti” (tra cui le briglie). Lo stesso articolo, nei
commi 5 e 6, stabilisce: “…le Autorità di bacino…
predispongono e trasmettono al sindaco interessato un documento di sintesi
che descriva la situazione del rischio idrogeologico che caratterizza il
territorio comunale”.
Il tutto, come si può notare, concepito nell’ottica della
prevenzione dal rischio idraulico e della rimessa in sicurezza del
territorio: entrambe da perseguire attraverso interventi manutentori, da
decidere previa la individuazione di locali situazioni di pericolo, ponendo
particolare attenzione alle sezioni di deflusso.
Ma, per quanto mi risulta, tutto questo è stato completamente
disatteso dagli organi tecnici preposti: dall’AIPO e/o
dall’Autorità di Bacino del Po. A distanza non di 120 ma di 1500
giorni, quanti Sindaci hanno ricevuto il suddetto documento di sintesi?
Si tratta a mio avviso di una serie di omissioni, perpetrate dai suddetti
uffici, con gravissime conseguenze per le comunità padane. Gran parte
delle alluvioni cui assistiamo di frequente – che passano per
calamità naturali – non sono altro che la conseguenza della
inosservanza delle norme sopra elencate, e comunque sono aggravate dalla
inettitudine dei tecnici preposti.
Se ad esempio si fossero effettuate le suddette verifiche lungo
l’Adda; se si fosse provveduto al ripristino della sezione di
deflusso – che nello stato attuale non potrebbe contenere una piena
superiore ad 800 mc/s – adeguandola alle note e prevedibili piene da
1.600 mc/s; se quei tecnici avessero verificato (con un banale calcolo
idraulico) l’effetto nefasto della briglia di Lodi sul regime
idraulico; se a tutto questo si fosse provveduto per tempo, non si sarebbe
verificato il disastro alluvionale di Lodi 2002.
Non si fa niente per la prevenzione; si rigetta il concetto di
manutenzione; e si pianifica a vuoto e in continuazione. Ad ogni alluvione
le Autorità di Bacino aggiornano i cosiddetti PAI - piani
d’assetto idrogeologico, che altro non sono che piani di evacuazione
del territorio:
- piani ottusi: invece di rimuovere la causa delle esondazioni fluviali,
mirano ad evitarne gli effetti allargando le fasce di rispetto intorno ai
fiumi, con divieto di residenza e di attività; nel frattempo, il
progressivo aggravarsi della causa (ostruzione delle sezioni di deflusso)
provocherà effetti sempre più disastrosi, fino alla totale
evacuazione del territorio di pianura.
- piani antistorici: sin dalle sue origini, l’uomo ha considerato il
fiume fonte di vita e di benessere; nelle sue vicinanze ha sviluppato le
sue più grandi civiltà e costruito le più belle città;
seguendo la logica dei PAI, invece, o dei Piani di delocalizzazione
(l’ultima invenzione delle Autorità di bacino), bisogna
llontanarsi dai fiumi …e pian piano ritornare in montagna…
PREZIOSA RISORSA PUBBLICA. Il sopra descritto marasma – dei piani
cave improvvisati e delle mistificazioni ambientaliste – scaturisce
per intero dalla mancanza di dati certi ed ufficiali sui quantitativi di
materiale esistente negli alvei fluviali. E’ proprio la mancanza di
questi dati – anch’essa conseguenza delle menzionate
inadempienze di AIPO e/o di Autorità di bacino – che, come
abbiamo visto, induce i politici a sottovalutare il problema, o permette
loro di ignorarlo, oppure …di scherzarci sopra.
In attesa dei dati ufficiali, vediamo di capire quali sono i quantitativi
reali. Seguendo un ragionamento logico, sull’adeguamento della
sezione di deflusso alle ricorrenti piene, cerchiamo ad esempio di
quantificare quanto materiale c’è nell’Adda: nel tratto
sovralluvionato tra Cassano e Maccastorta (70 chilometri).
Dai rapporti ufficiali della piena 2002 si evince che in quella occasione
la portata idrica fu di 1.600 mc/s. Con un semplice calcolo idraulico
è possibile determinare la sezione che l’alveo dovrebbe avere
per contenere una portata simile. Tenendo conto del variare della pendenza
longitudinale, e quindi del ridurre, da monte verso valle, della
velocità della corrente, il valore approssimativo variabile di tale
sezione (al netto del franco di sicurezza) va da 400 mq (a Cassano) a 800
mq (a Maccastorta).
Da un recente sopralluogo si è potuto constatare invece che la
presenza di accumuli di materiale in alveo ne riduce la sezione, in media
di 150 mq. rispetto ai valori suddetti. Di conseguenza, per ripristinare la
sezione minima occorrente, bisogna asportare dall’Adda, lungo il
tratto in esame, non meno di 10,5 milioni di mc. di materiale (70.000 m.
per 150 mq).
Applicando lo stesso ragionamento ai tronchi sovralluvionati degli altri
fiumi lombardi – rapportando il tutto alle rispettive portate di
piena – si ricavano i seguenti quantitativi di materiale da
asportare: Ticino, da Somma Lombardo a Pavia, (90.000 m. per 200 mq.) = 18
milioni di mc; Oglio, da Ostiano a Mazzuolo (25.000 m. per 80 mq.) = 2
milioni di mc; tratto lombardo-emiliano del Po, da Pieve del Cairo ad
Ostiglia (250.000 m. per 500 mq.) = 125 milioni di mc.
Volendo completare il quadro di insieme lombardo-emiliano –
considerato peraltro che il tratto di Po preso in esame scorre sul confine
fra le due regioni – ci sarebbe da aggiungere almeno altri 25 milioni
di mc complessivi, da asportare dai tronchi sovralluvionati dei fiumi:
Trebbia, Nure, Taro, Parma ed Enza. Per un ammontare, fra le due regioni,
di 180 milioni di mc. di materiale.
Si tratta, ripeto, di dati approssimativi (sicuramente per difetto),
ricavati con calcoli di massima, tenendo conto dello sviluppo dei corsi
d’acqua, delle loro portate idriche e del grado di ostruzione della
sezione di deflusso. Non sono numeri astratti, ricavati da studi teorici ed
astrusi sul trasporto solido, ma dati reali e di facile riscontro in loco.
Chiunque può farsi già un’idea del grado di
sovralluvionamento dei fiumi in questione, esaminando la cartografia ella
zona interessata (ortofoto a colori) sul sito: www.atlanteitaliano.it.
(Ministero dell’Ambiente). Oppure, sempre sulla rete, scorrendo la
documentazione fotografica dei fiumi in secca (fiumare padane).
Un’osservazione della suddetta cartografia consente di notare anche
la miriade di cave fuori alveo presenti nel Lodigiano, il cui territorio
è ridotto in una gruviera.
Quando l’AIPO e/o l’Autorità di bacino per il Po
decideranno, come per legge, a rilevarli in via ufficiale, se ne avrà
la conferma. Di fronte a dati ufficiali, di tale entità, non sarebbe
certo facile ignorare la disponibilità di quel materiale, in sede di
redazione e approvazione dei Piani Cave. Né sarebbe possibile far
passare per cose serie, le tante stupidaggini del falso ambientalismo
nazionale, sull’escavazione in alveo.
ENTRATE VANIFICATE. Il suddetto quantitativo di 180 milioni di mc. –
gran parte del quale è utilizzabile per la produzione di inerti,
essendo, per natura e provenienza, del tutto simile al materiale lapideo
estratto dalle cave di pianura – rappresenta, com’è
evidente, un’immensa risorsa mineraria di proprietà pubblica.
Risorsa che, al prezzo simbolico di un euro per mc, avrebbe un valore di
180 milioni di euro. Valore che potrebbe facilmente lievitare a 400 milioni
di euro: tutto dipende dalle condizioni del mercato, cioè dal
fabbisogno di inerti. Fabbisogno che attualmente è altissimo in
entrambe le regioni. Lo dimostra la pressione ad aprire nuove cave in
Lombardia. Lo dimostra l’importazione di inerti dalla Puglia, da
parte di molte imprese dell’Emilia Romagna. E trova riscontro nei
grandi lavori della TAV, alcuni dei quali non riescono a partire proprio
per mancanza di inerti.
La pulizia degli alvei fluviali, pertanto, è dettata attualmente non
solo da motivi di estrema urgenza per la sicurezza ma anche da importanti
motivi di convenienza economica. Sarebbe questo il momento propizio per
immettere sul mercato quei 180 milioni di mc. di materiale – più
che sufficienti per soddisfare il fabbisogno di entrambe le regioni:
Lombardia ed Emilia Romagna – e ricavarne il maggior provento. Le
regioni interessate otterrebbero due immediati vantaggi: la pulizia degli
alvei, completamente gratuita, ed in più una notevole entrata,
più che sufficiente per realizzare le difese spondali ed ogni altra
opera idraulica necessaria, lungo gli stessi corsi d’acqua.
Purtroppo, però, questa fortuita circostanza sta per essere
vanificata. La Regione Lombardia sta approvando tutta una serie di Piani
Cave provinciali. Probabilmente la stessa cosa sta per fare l’Emilia
Romagna.
Va subito detto che l’approvazione di detti piani cave (limitatamente
alle cave di inerti) è un atto demenziale; è un’aberrante
castroneria di inaudita gravità. Approvare quei piani cave significa
buttare nel nulla una pubblica risorsa del valore di centinaia di milioni
di euro. Significa rinunciare alla possibilità di provvedere –
in tempi brevi ed a costo zero – alla pulizia degli alvei fluviali.
Significa provocare danni erariali per diverse centinaia di milioni di
euro. E soprattutto significa – con l’attuale carenza di fondi
pubblici – rinviare “a babbo morto” il ripristino della
sezione di deflusso dei corsi d’acqua, urgente e indispensabile
operazione: …per la tutela dell’equilibrio geostatico e
geomorfologico del territorio, …per la PUBBLICA
INCOLUMITA’.
Nella speranza di un ravvedimento, saluto ed auguro un felice anno
2005.
Nicola Bonelli
nicolabonelli@libero.it
Risposta:
Regione Lombardia
Direzione Generale Qualità dell’Ambiente
Al Sig. Bonelli Nicola
e p. c. Al Sig. Presidente della Giunta Regionale
Data 25 febbraio 2005
Prot. 004518
Oggetto: Piani cave della Regione Lombardia - Vs. nota del 10 gennaio 2005
-
Si riscontra, con la presente, la Vs. nota , indirizzata al Presidente
della Giunta regionale, pervenuta, per competenza, a questi uffici, il 2
febbraio u.s.
Si fa presente, innanzi tutto, che i piani cave provinciali sono strumenti
tecnici di pianificazione di settore; essi sono finalizzati al reperimento
di inerti per la copertura del fabbisogno necessario all'edilizia e alle
infrastrutture della mobilità e sono previsti e disciplinati da
un’apposita legge regionale: la l.r. 14/98.
I piani cave intervengono sulla pianificazione delle sole aree esterne agli
alvei fluviali, nei quali peraltro l'attività estrattiva è
vietata da una legge statale, e non hanno alcuna attinenza con la pulizia
degli alvei fluviali, prevista e regolamentata da altre leggi, i cui
adempimenti tecnici ed amministrativi competono ad altri Enti.
Per quanto sopra, non è insolito il fatto che il Presidente della VI
Commissione consiliare, ed eventualmente altri rappresentanti del Consiglio
regionale, si impegnino pubblicamente a portare all'attenzione degli enti
ed organi competenti la problematica relativa ad alcune tematiche, ritenute
importanti: nel caso particolare, la pulizia degli alvei. Tale iniziativa,
ovviamente, non può essere intesa come un impegno a venir meno, nel
frattempo, alla puntuale esecuzione dei compiti istituzionali affidati al
Consiglio regionale, tra i quali rientra l’approvazione dei piani
cave provinciali, tenuto anche conto che la stessa l.r. 14/98 prevede
espressamente i tempi di approvazione dei piani cave.
Per quanto riguarda la disciplina e le modalità della regimazione
idraulica dei fiumi, si ritiene che l’autorità di Bacino del
Fiume Po e l’A.I.P.O., ai quali è stata inviata copia della Vs.
nota, siano i referenti più competenti a fornire risposte esaurienti
in materia.
Si fa comunque notare che, in Lombardia, i cavatori che ripuliscono gli
alvei sono, di frequente, gli stessi che svolgono le attività previste
nei piani cave provinciali; pertanto appare poco condivisibile la Vs.
opinione, secondo la quale, per i cavatori, la pulizia degli alvei è
un "evento nefasto e rovinoso".
Peraltro è noto che lo scavo in alveo produce materiali inerti molto
più pregiati di quelli scavati negli ambiti estrattivi del piano cave,
per di più già lavati e suddivisi in classi granulometriche
più favorevoli ad utilizzi pregiati. Appare quindi più credibile
che siano gli stessi cavatori ad auspicare che la regimazione fluviale
venga effettuata con frequenza.
In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, la legge regionale n.
14/98, nell’approvazione dei piani cave provinciali, non può
prevedere l'escavazione in alveo, né tenere conto dei quantitativi
dì inerti provenienti dalla regimazione idraulica. La pianificazione
infatti, per essere credibile, deve trovare fondamento sull’effettiva
possibilità di prevedere la disponibilità dei volumi che si
reputa necessario estrarre nel periodo di vigenza del piano. Tale
presupposto non sussiste, tranne in casi eccezionali, per i volumi
derivanti dalla regimazione idraulica. In questo caso infatti, la
necessità di estrarre inerti dipende dall'andamento e dalla
variabilità del regime fluviale, che è imprevedibile e non è
quindi determinabile in sede di pianificazione.
In ogni caso, gli uffici regionali, competenti alle istruttorie dei piani
cave, non hanno mai escluso, ove possibile, un coordinamento tra le varie
tipologie di attività estrattive, ove le condizioni ed i tempi si sono
dimostrati favorevoli.
Per quanto riguarda l’Adda, in particolare, a smentita della vostra
affermazione che in Lombardia non si affronta il problema del coordinamento
tra i piani cave e le regimazioni idrauliche, si fa presente che il vigente
piano cave provinciale della provincia di Sondrio, il cui territorio è
stato interessato, alla fine degli anni '80, da una serie di massicci
eventi alluvionali, non prevede cave di inerti, in quanto tal tipo di
materiale viene reperito proprio dalla pulizia degli alvei, costantemente e
storicamente alimentati, con volumi pressoché costanti,
dall’apporto dei vari affluenti, come, ad esempio, il fiume
Tartano.
Si auspica di aver riscontrato esaurientemente le Vostre osservazioni e si
conferma che qualsiasi ulteriore confronto sul tema, proposto con toni
moderati ed argomentazioni propositive, è sempre gradito.
Si ritiene infatti che giudizi critici, anche severi, possono costituire,
per chi lavora nell’ente regionale, uno stimolo ad impegnarsi nel
proprio lavoro per produrre risultati sempre più vicini alle
aspettative di coloro che vivono e lavorano nei confini del territorio
regionale .
Si resta comunque a disposizione per qualsiasi ulteriore informazione
ritenuta utile e si porgono distinti saluti.
IL DIRIGENTE DELL’UNITA’ ORGANIZZATIVA
(Dott.ssa geol. Cinzia Secchi)
Nota: tra le tante incongruenze c’è anche una buona notizia (per
i Lombardi). Possono trasferirsi in massa in provincia di Sondrio; dove a
quanto pare il territorio è più sicuro.
(Fontamara)
Approfondimenti.
Regio Decreto 1443/27 - Disciplina per la ricerca e la coltivazione delle miniere
09.10.00 - PROGETTO Dl LEGGE N. 0058 - Modifica della legge regionale 14/98.
Nuove norme per la coltivazione di sostanze minerali di cava - A firma di
BONFANTI, GALPERTI, BISCARDINI, BRAGAGLIO, CIPRIANO, TAM, VIOTTO, LOCATELLI,
LOMBARDI, MONGUZZI.
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