La sola Giustizia, le tante ingiustizie, i troppi giustizieri. Di Fabio Piselli



La sola Giustizia, le tante ingiustizie, i troppi giustizieri. Di Fabio Piselli




26 Gennaio 2009
Inserito da Lorella Binaghi
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Tratto dal blog di fabiopiselli@live.it
http://www.ilblogdifabiopiselli.com/


Foto di Fabio Piselli.
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Fabio Piselli.


Lunedì 26 gennaio 2009 - “la sola Giustizia, le tante ingiustizie, i troppi giustizieri”

Ancora una volta i mass media evidenziano gli episodi di criminalità avvenuti negli ultimi giorni, sottolineando il bisogno di “sicurezza”, da implementare anche con il berlusconiano prospettato intervento decuplicato dei militari.

I soldati sono uno strumento di difesa nel nostro ordinamento, polivalente nei momenti di emergenza in supporto alla protezione civile, ma a mio modesto avviso sono uno strumento assolutamente non compatibile per le attività di polizia per il controllo del territorio, che sono attività ben diverse dal controllo del territorio effettuato dai militari; sostanzialmente si rischia di ritrovarci di fronte al classico quesito che pesa la misura fra il bisogno di sicurezza ed il rispetto delle libertà individuali, con l’ulteriore rischio di doverci confrontare con dei soggetti abituati ed indottrinati diversamente dalla polizia, per quanto proprio una bella valutazione della nostre risorse della sicurezza in generale, potrebbe risolvere il problema della insicurezza vissuto dalla collettività.

Occorre fare attenzione ai giustizieri che confondono le proprietà della Giustizia con la necessità di sicurezza, miscelando la percezione della sicurezza della cittadinanza con il bisogno di Giustizia della collettività, sviluppando in questo modo un composto esplosivo che scatena le reazioni violente che avvengono ad ogni episodio grave patito dalla vittima di turno, edificata ad icona del paese che necessita una misura “autoritaria” capace di “stabilizzare” la situazione resa insicura da queste orde di immigrati clandestini, i più “brutti e cattivi”, lasciati però delinquere senza grandi difficoltà per ragioni che abbiamo necessità di valutare al fine di comprenderle.

Occorre infatti da parte della società civile, da parte della collettività ancora capace di ragionare con la propria capoccia e di senso democratico, attivare tutte le risorse culturali, sociali e civili capaci di evidenziare i fatti per quel che sono, rispetto agli eventi per come sono gestiti e propagandati ad uso e consumo delle varie parti politiche.

Occorre perciò iniziare a capire che i dispositivi di sicurezza sono cosa ben diversa dagli strumenti di Giustizia, che i primi necessitano la capacità di analisi a breve, medio e lungo termine da parte dei nostri, tanti, troppi reparti delegati alle attività in tal senso, che invece sono spesso improvvisati sul campo a botta di decreti emergenziali e reazioni emotive; mente i secondi sono dei diritti, sia di parte offesa che di parte imputata, da rispettare sempre, ben regolati dalle leggi che seppur opinabili hanno avuto il vaglio democratico dalle istituzioni dopo le giuste procedure, democratiche, espresse dai nostri delegati politici.

La sicurezza la si ottiene con la conoscenza dei fenomeni, con l’analisi dei fenomeni e soprattutto con l’impiego pratico, reale, vero delle tante risorse di cui disponiamo, prime fra tutte le forze di polizia.

Occorre avere la forza collettiva di pretendere di capire, conoscere, riconoscere il fenomeno della “insicurezza” per elaborare delle soluzioni diverse dal proiettare nel facile capro espiatorio rappresentato dallo straniero, dal diverso, dal “brutto e cattivo” immigrato clandestino tutte le responsabilità, oltre le loro responsabilità; suggerisco di leggere le statistiche europee e internazionali del dopoguerra relative all’incremento della criminalità quando eravamo noi italiani ad essere “immigrati” negli altri paesi, nei quali, a parte qualcuno che ci ha messo in quarantena, gli altri ci hanno offerto dei reali strumenti d’integrazione che abbiamo ben saputo utilizzare riuscendo ad inserirci progressivamente nella società civile dei paesi ove siamo emigrati, per ragioni non diverse da chi oggi emigra in Italia, anche clandestinamente.

Vogliamo veramente credere che l’insicurezza dipenda da qualche sacca di sottosviluppo d’immigrazione? se così fosse dovremmo chiederci che razza di forze di polizia e di sicurezza abbiamo se non sanno nemmeno tenere a bada qualche orda di ubriaconi e delinquenti, di scarso spessore criminale oltretutto, fino a quando non si professionalizzano in bande, lasciate crescere dalla passività generale delle forze di sicurezza.

Vogliamo veramente credere che dobbiamo mobilitare migliaia di soldati per garantirci la sicurezza contro questa nuova forma di “destabilizzazione” da “stabilizzare” coi sistemi autoritari?

Non dimentichiamoci che la soluzione del problema immigrazione clandestina è politica, non militare; soluzione che si raggiunge con una seria politica estera e d’integrazione concordata con le parti sociali e con la collettività oltre che coi paesi “eroganti” gli immigrati, alcuni dei quali fanno politica estera proprio a suon di barconi colmi di disperati, paganti.

Prima di avallare qualsivoglia dispositivo di emergenza, che, come tale non è risolutore, motivo per il quale il nostro strano paese perennemente in emergenza non riesce a risolvere i problemi, potremmo attivare tutti quei dispositivi culturali, sociali, civili di cui siamo capaci come cittadini di un paese civile e caratterizzato da un forte passato di emigrazione dal quale imparare.

Occorre prima di tutto ricordarci di essere delle persone civili, che vivono all’interno di una collettività caratterizzata da delle regole sociali, capaci di riuscire a omprendere i motivi per i quali le lacune della sicurezza ci pongono contro chi, bisognoso d’integrazione, è invece lasciato solo con la propria ignoranza, con la ropria rabbia che non può far altro che generare arroganza e violenza in nostro danno, innescando così una pericolosa catena che provocherà solo le ragioni di una stabilizzazione autoritaria.

Il primo passo che potremmo fare è quello di comprendere i motivi della passività delle nostre forze di sicurezza, che sono tante, rispetto alla criminalità potenzialmente prevenibile e facilmente risolvibile come quella generata dalla clandestinità, dal baraccamento di disperati; baracche dalle quali i più capaci fuggiranno per andare in paesi veramente europei mentre i criminali preferiranno restare in questo strano nostro paese aumentando il fattore di rischio ai nostri danni.

In parole povere, prima di inviare un militare contro i presunti criminali, potremmo “inviarci” in favore di coloro che hanno raggiunto il nostro paese per fuggire da quelle stesse condizioni dalle quali i nostri nonni, i nostri padri, sono fuggiti, senza dimenticare che proveniamo da un regime nazi-fascista, da una guerra persa dopo aver esportato distruzione, e da tanta povertà di cui abbiamo sofferto.

Forse se tendiamo una mano ad un immigrato consentendogli di non essere “assistito” ma “aiutato”, potremmo iniziare a dividere i buoni dai brutti e cattivi, stimolandone l’inserimento ed il rispetto delle regole sociali, sostenendone i diritti umani e soprattutto rispettando la nostra umanità, seppur ferita di fronte alla violenza sessuale di una giovane donna.

Non sarà il male che ricevo a trasformarmi in produttore di una violenza reattiva, giustificata dalle mie sofferenze, ma è proprio la comprensione del dolore che patisco che mi stimola a produrre civiltà, tale da consentirmi in caso di necessaria “battaglia” contro il “male”, di saper selezionare i bersagli per non colpire indiscriminatamente tutti coloro che sembrano nemici, o che come tali sono indicati da chi amministra la vita collettiva.

Abbiamo acquisito dei diritti che ci siamo conquistati pagando elevati tributi in termini di vite umane e di sacrifici personali, che non meritano di essere offesi comportandoci come gli aguzzini che abbiamo sconfitto.

La cultura di una collettività si misura dalla capacità di prevenire che i propri figli siano uccisi dall’ignoranza e dal sottosviluppo, e non da quanti figli degli altri uccideremo in risposta alle sofferenza subite, per questo non credo nelle azioni di forza ma nella forza delle azioni, prima di tutto nella capacità di capire per riuscire a comprendere ciò che da troppe parti politiche è strumentalizzato per rinforzare il proprio ideale.

Abbiamo già tutte le risorse per garantirci la sicurezza e per offrire accoglienza e dignità a chi chiede di entrare, come un paese civile è in grado di fare, facendo anche la giusta selezione dei requisiti e delle caratteristiche di chi si presenta ai nostri confini ma anche di chi, da dentro il nostro paese, stimola a vedere in ogni immigrato un diverso senza sapere che la differenza esiste solo in chi la evidenzia.

Non sono diverso a nessuno e nessuno è diverso da me se ci poniamo tutti sullo stesso umano livello di uomini degni di ascolto e di accoglienza, capaci però di fermare chi sceglie strade violente con la “violenza” delle giuste misure di sicurezza attuate tramite i gendarmi, e non con la propaganda che i gendarmi sono la nostra sola garanzia di sicurezza….

Fabio Piselli





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