Militari e politica: il PSD denuncia sette generali
Militari e politica: il PSD denuncia sette generali
16 ottobre 2010
Inserito da Lorella Binaghi
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Camera dei Deputati.
Militari e politica: il PSD denuncia sette generali
Venerdì 15 Ottobre 2010 10:17
Fonte:
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Roma, 12 ott - Tredici segreterie regionali, otto dipartimenti, migliaia di
iscritti, questi sono i "numeri" di una giovane formazione politica nata
circa un anno fa, il "Partito Sicurezza e
Difesa - PSD", che ha riscosso immediatamente un largo consenso non
solo nel mondo delle divise ma anche tra i comuni cittadini.
Ad interessarsi di questo partito, prima ancora degli operatori del
comparto e dei comuni cittadini, sono state le gerarchie militari,
preoccupatissime per i consensi che il nascente partito sta acquisendo ad
una velocità davvero ragguardevole.
La Repressione
Tutto è cominciato quando alcuni dirigenti regionali del PSD, si sono
visti recapitare da parte dei rispettivi organi gerarchici un invito a
recedere dalla loro carica. La legge prevede ampie libertà di
partecipazione alla vita politica del Paese, persino per chi indossa una
divisa, ma alcuni generali di La Russa non vogliono sentir ragioni ed hanno
avviato dei procedimenti disciplinari nei confronti dei loro sottoposti che
ricoprono cariche all'interno del PSD nonostante la delicatissima materia
che tratta dei supremi principi costituzionali e democratici.
Per la verità, inizialmente, alcuni generali hanno provato a spiegare
ai vertici militari la liceità e la legalità dell'operato dei
propri sottoposti, come ad esempio i generali dei carabinieri Vincenzo
Giuliani e Carlo Gualdi, che con due distinte lettere hanno spiegato che
l'iscrizione ai partiti politici non solo è lecita (e quindi non
perseguibile disciplinarmente) ma protetta da precise norme di rango
costituzionale e legislativo. Sempre i medesimi generali hanno spiegato
chiaramente al Comando generale (che comunque conosce molto bene la
materia) che anche l'attività politica condotta dai militari non in
servizio, in abiti civili e fuori dai luoghi di servizio è parimenti
lecita e pienamente esercitabile. Di seguito i link per leggere le missive
dei due generali:
Lettere
dei gen. Giuliani e Gualdi, PDF
Tutto OK allora? Neanche per idea!
Evidentemente le gerarchie militari, forse atterrite dalla prospettiva che
i militari acquisissero consapevolezza dei propri diritti, impartiscono un
ordine criptico proveniente addirittura dal Gabinetto del ministro La
Russa. Sì proprio lui, quello che chiama i militari "i nostri
ragazzi".
Ecco il link
dal quale scaricare la direttiva del Gabinetto della Difesa.
Analizzando il contenuto di questa oscura circolare del Gabinetto della
Difesa, vi si legge un improbabile giro di parole a firma del generale
Biagio Abrate: «l’iscrizione in argomento, ancorché
– in sé – non vietata, è da intendersi assorbita dal
divieto di esercizio di attività politica». Tecnicamente
questa frase costituisce quello che nella lingua italiana viene chiamato un
ossimoro, una figura retorica che consiste nell'accostamento di due termini
in forte antitesi tra loro, come ghiaccio bollente, silenzio assordante,
etc. In questo caso l'ossimoro è costituito dal concetto "il diritto
assorbito dal divieto", perchè delle due l'una: o esiste in capo ai
militari il diritto di iscrizione ad un partito politico oppure esiste un
divieto in tal senso. Entrambi, evidentemente, non possono esistere!
Fermiamoci un attimo e riassumiamo i termini della questione per spiegare
come e perchè i militari hanno tutto il diritto di iscriversi ad un
partito politico e fare attività politica, come hanno abbondantemente
illustrato i due generali, Giuliani e Gualdi:
L'art. 49 della Costituzione stabilisce che «tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con
metodo democratico a determinare la politica nazionale». La
potestà di limitare con legge tale diritto, prevista dal successivo
articolo 98, non è stata mai esercitata dal Parlamento nei confronti
dei militari di carriera in servizio attivo. Il diritto di iscrizione ai
partiti politici inoltre è attualmente pienamente esercitabile anche
dalle Forze di Polizia.
Le uniche, parziali, limitazioni poste nei confronti del predetto personale
all’esercizio di attività politica non riguardano affatto il
diritto di iscrizione ai partiti politici, come detto costituzionalmente
garantito e tutelato, ma mirano, con comprensibile buon senso,
esclusivamente a separare l’attività di servizio – svolta
in uniforme o in abiti civili – dalla quella politica fatta a titolo
personale, per esempio tramite la individuale partecipazione a
manifestazioni o a riunioni promosse da soggetti politici.
In questo modo, si garantisce dal punto di vista formale
l’estraneità delle Forze armate e delle Forze di polizia,
unitariamente intese, dall’agone politico in tutte le sue forme ed
espressioni.
Per i militari, tutto ciò è codificato dall’art. 6 della
legge 11 luglio 1978 n. 382 (Norme di principio sulla disciplina
militare), secondo il quale «le Forze armate debbono in ogni
circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche. Ai
militari che si trovano nelle condizioni previste dal terzo comma
dell'articolo 5 è fatto divieto di partecipare a riunioni e
manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche,
nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni,
organizzazioni politiche o candidati ad elezioni politiche ed
amministrative. I militari candidati ad elezioni politiche o amministrative
possono svolgere liberamente attività politica e di propaganda al di
fuori dell'ambiente militare e in abito civile. Essi sono posti in licenza
speciale per la durata della campagna elettorale».
Detto articolo 6, quindi, richiamando il terzo comma dell’art. 5
della medesima legge, stabilisce che le limitazioni riguardano
esclusivamente i militari che si trovino nelle seguenti condizioni:
a) svolgono attività di servizio;
b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio;
c) indossano l'uniforme;
d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si
rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come
tali.
Per converso quindi, i militari che non si trovino nelle predette
condizioni ben possono «partecipare a riunioni e manifestazioni
di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di
svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni
politiche o candidati ad elezioni politiche ed
amministrative».
La legge n. 382/78 quindi, nel disciplinare i rapporti tra militari e
l’attività politica, non prevede generiche limitazioni
suscettibili di interpretazioni estensive, ma elenca tassativamente le
fattispecie vietate, giacché ritenute suscettibili di compromettere
l’estraneità delle Forze armate (intese unitariamente) dalla
dialettica politica, attuando il dettato costituzionale, sintetizzato sia
dall’art. 1 della medesima legge, secondo cui «Le Forze
armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro
attività si informano ai principi costituzionali» sia dall'art.
3: «Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della
Repubblica riconosce ai cittadini».
Riprendiamo adesso l'avventuroso racconto.
Vista l'esistenza della direttiva-ossimoro del Gabinetto di La Russa, il
generale Ilio Ciceri, all'epoca sottocapo di stato maggiore del Comando
Generale dell'Arma dei Carabinieri, comunica urbi et orbi una sua personale
direttiva dove aggiunge inoltre alcune infondate quanto fantasiose
argomentazioni giuridiche, secondo le quali «anche la sola presenza
di un certo numero di militari tra i tesserati di un partito potrebbe
consentire di argomentare in ordine all’espressione di preferenza
politica della Compagine militare» concludendo che «è,
dunque, comportamento suscettibile di assumere rilievo sotto il profilo
disciplinare, per violazione, fra tutte, della fattispecie regolata dal n.
9 dell’allegato “C” al d.P.R. n. 545/86»,
(Comportamento lesivo del principio della estraneità delle Forze
Armate alle competizioni politiche, punibile con la sanzione di rigore).
Sorge allora spontanea la domanda: come si fa a sapere quanti militari sono
iscritti ad un determinato partito politico visto che questo dato è
classificato, secondo il garante della privacy, come "sensibile"?. Leggi la
direttiva del generale Ilio Ciceri.
I generali fanno dietrofront
A questo punto gli obbedientissimi generali Vincenzo Giuliani e Carlo
Gualdi, che si erano inizialmente sforzati di far capire al Comando
Generale l'impossibilità di agire disciplinarmente contro quei
militari iscritti in un partito politico, dimenticano quanto da essi stessi
sostenuto e si danno ad un precipitoso dietrofront. L'obbedienza cieca li
fa passare dal ruolo di difensori a quello di carnefici. La prova? Eccola:
di seguito il link per visionare una comunicazione con la quale il generale
Giuliani non solo intima ad un maresciallo di recedere dalla carica
ricoperta in seno ad un partito politico, ma addirittura gli paventa la
cessazione dal servizio permanente per decadenza.
Clicca
qui per leggere il documento del generale Giuliani, PDF.
Ai vertici politici del PSD, loro malgrado, non resta altro da fare se non
denunciare tutto alla magistratura fornendo una quantità di prove
documentali davvero poderosa che inchioderebbero una pluralità di
generali e colonnelli (non solo dei carabinieri) i quali, in associazione
fra loro, a parere del PSD, avrebbero commesso il reato di
«Attentato contro i diritti politici del cittadino»,
previsto dall'art. 294 del codice penale che prevede pene da uno a cinque
anni per «chiunque con violenza, minaccia o inganno impedisce in
tutto o in parte l'esercizio di un diritto politico, ovvero determina
taluno a esercitarlo in senso difforme dalla sua
volontà».
L'interrogazione parlamentare
La vicenda in questione è finita in Parlamento dove Di Stanislao (IDV)
ha chiesto al ministro La Russa di adottare dei provvedimenti disciplinari
e la rimozione dall'incarico nei confronti del primo generale che ha
tradotto in ordine concreto la disposizione illegittima del Gabinetto della
Difesa, a causa delle "gravissime affermazioni contenute nella sua
missiva che, a parere dell'interrogante, mal si conciliano con il
giuramento prestato che prevede di osservare «la Costituzione e le
leggi»". Il ministro, nonostante siano passati quasi tre mesi
dalla data dell'interrogazione, non ha mai risposto.
Leggi l'interrogazione parlamentare.
L'organo di stampa della Difesa smentisce i generali persecutori:
legittimo per i militari iscriversi e fare attività
politica
Stranamente però l'organo ufficiale di stampa dello Stato maggiore
della Difesa, "Informazioni della Difesa", nell'ultimo numero (4/2010)
andando di opposto avviso con quanto disposto dal Gabinetto della Difesa,
spiega in un elaborato articolo a firma del Colonnello Antonino Lo Torto
(Capo Ufficio affari giuridici) che l'iscrizione ai partiti politici e lo
svolgimento di attività politica da parte dei militari è del
tutto legittima quando esercitata in abiti civili e fuori dalle strutture
militari, così come previsto dalla Costituzione e dalle leggi.
Leggi l'articolo di "Informazioni della Difesa".
Il silenzio imbarazzato dei vertici
Ad ulteriore conferma dell'imbarazzo diffuso sofferto dai vertici militari
quando interrogati sulla spinosa materia, sembrerebbe che ieri, nel corso
di una importante riunione tra gli organi di rappresentanza militare
dell'Arma (Coir e Cocer), un'intraprendente delegato abbia incalzato il
colonnello Masciulli (Capo Ufficio legislazione del Comando Generale) con
una domanda molto semplice: un militare si può iscrivere ad un partito
politico oppure no? La domanda sarebbe stata ripetuta per ben tre volte
prima che un laconico "vi faremo sapere" chiudesse la scomoda
parentesi.
PSD - Partito Sicurezza e Difesa
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