"Otto proiettili in corpo ma senza pensione di guerra" di Stefano Robertazzi
"Otto proiettili in corpo ma senza pensione di guerra"
di Stefano Robertazzi
18 Luglio 2007
Estratto da "La Prealpina", 13 Maggio 1988.
LETTERE AL GIORNALE
Egregio direttore, le scrivo in riferimento all'articolo comparso sul Suo
Giornale ieri, 23 Aprile 1988 dal titolo: "In corpo otto proiettili ma non
ha la pensione", articolo in cui si raccontano le vicende belliche e
postbelliche di Bruno Piva.
Io non contendo il primato che detiene il Piva, ma al fine di consolare il
protagonista di questa triste vicenda ("solacium miseris socios habere
penantes", dice il famoso detto latino). Le sarei grato se non cestinasse
la presente lettera. Anch'io come molti altri ebbi a suo tempo l'onore o
meglio la ventura di servire la Patria e di fare la guerra. Racconto in
breve le mie vicende: dieci mesi d'addestramento in terra straniera anche
se alleata, poi prima linea, anzi avamposto, tre ferite, due soli
proiettili ritenuti e ancora visibili ai raggi X, la proposta per un'alta
decorazione al valor militare (che non ebbi per il susseguirsi delle tristi
e sfavorevoli vicende belliche) tre anni di studi perduti, il ritorno al
mio domicilio, lo studio forsennato con la speranza di recuperare il tempo
perso, infine la laurea. Dieci giorni dopo il conseguimento della laurea
l'arrivo della cartolina inviatami dalla nuova Repubblica italiana che
m'invitava a fare il servizio di leva!... Non le descrivo la mia gioia
all'annuncio di questa gradita notizia!... Ma alla fine tutto andò
bene per me, perchè ottenni l'esonero da tale servizio grazie a uno
dei provvidenziali articoli per il quale era previsto l'esonero! A questo
punto qualcuno mi dirà: cosa c'entrano le vicende che ha raccontato
con quelle del Piva? Mi permetto di dire che le mie vicende sono
equiparabili a quelle del superferito.
Il Piva in effetti protesta per il mancato riconoscimento da parte dello
Stato di un'indennità che gli spetta di diritto. Io non chiedo allo
Stato nessuna indennità, però mi sento di diritto di far
notare quanto segue. Da parte di uno stato definito libero e democratico
è addirittura un assurdo che si pretenda un nuovo servizio di leva
da parte di un cittadino che ha già fatto la guerra! Per il mancato
riconoscimento del servizio militare prestato, io sono stato gravemente
danneggiato in occasione dei concorsi effettuati perchè ho perso il
beneficio dei punti dei titoli che mi aspettavano di diritto, quindi mi
sono trovato nella incresciosa situazione di essere classificato dopo i
vari vincitori dei concorsi stessi con l'ovvio risultato di non aver
potuto seguire carriere più remunerative di quelle consentitemi dai
miei olecrani (ossa del gomito). Inoltre non ho avuto la sia pur magra
soddisfazione d'essere riconosciuto combattente o appartenente a un corpo
militare (almeno tu, Piva, il cappello d'alpino lo puoi portare!).
E a questo punto mi lasci rivolgere dalle colonne del Suo giornale
direttamente a Piva. Non ti sei mai chiesto, caro Piva, se l'Italia abbia
perduto o vinto la guerra? Io me lo sono domandato più volte, ma non
sono riuscito a trovare una risposta e mi guardo bene dal far di tutto per
trovarla! Forse è più esatto dire che ci sono italiani che
hanno perso la guerra e italiani che l'hanno vinta! Se non altro i tedeschi
hanno tutti la coscienza d'aver perduto la guerra e si sentono
perfettamente uniti in questa salda convinzione. Ma in Italia dopo la fine
delle ostilità, gli italiani che si ritengono e sono stati
riconosciuti vincitori hanno elevato un muro tra sè e quelli che
hanno portato la Patria alla rovina. E questo muro gigantesco fra italiani
perdura negli anni immutato, anzi sembra dotato d'una caratteristica del
tutto al di fuori della norma: che non invecchi mai!
Non ti sei mai accorto, caro Piva, d'essere stato catalogato nel numero di
quelli che hanno perduto la guerra, che hanno portato alla rovina la
Patria? E anch'io sono incluso come te nel numero di questi eletti! Ma
forse molto più obbiettivamente possiamo dire un'altra cosa, nella
vita esistono sostanzialmente due categorie di persone, i furbi (che sanno
fare il proprio interesse) e i fessi (che non lo sanno fare). Eppure noi,
caro Piva, anche se possiamo essere riconosciuti fessi, non siamo furbi ma
non siamo neppure fessi, perchè tra i furbi e i fessi esiste
un'altra categoria di persone in cui noi siamo inclusi di diritto: le
persone "scomode" quelle che non hanno paura a dire la verità e
guardano con distacco e con disprezzo le tante persone così propense
ad essere ben disposte e consenzienti nei confronti di quelli che comandano
e che secondo loro contano!
La ringrazio e la saluto cordialmente.
Stefano Robertazzi, Varese.
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